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Il giudice di appello mantiene il potere-dovere di stabilire il corretto ambito della rinnovazione istruttoria chiesta dall’imputato già contumace, e rimesso in termini per l’impugnazione, potere-dovere che deve, però, essere esercitato in modo da consentire allo stesso l’esercizio dei diritti che egli avrebbe potuto esercitare se avesse partecipato al giudizio di primo grado.

L’imputato, dichiarato latitante, era stato condannato in primo grado alla pena dell’ergastolo ed il giudizio di secondo grado era stato dichiarato inammissibile risultando il suo difensore privo di mandato speciale. Egli, però, con ordinanza in data 26 ottobre 2020, e a seguito di annullamento di una precedente ordinanza di senso contrario, era stato rimesso in termini per proporre l’impugnazione. Nel nuovo giudizio di merito la Corte di Assise di Appello ha, in primo luogo, respinto l’eccezione di nullità dell’intero giudizio per la nullità del decreto di latitanza, e l’eccezione di nullità del rinvio a giudizio perché non preceduto dall’interrogatorio dell’imputato. Ha altresì respinto la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria, che comprendeva il nuovo svolgimento delle prove dichiarative già assunte e l’assunzione di nuovi testimoni.

Nei motivi di gravame davanti alla Suprema Corte il difensore lamentava, tra l’altro, la violazione degli artt. 178 e 179 c.p.p. in relazione alla nullità del decreto che dispone il giudizio quale conseguenza della nullità del decreto di latitanza emesso il 03 settembre 1997, e la carenza e illogicità della motivazione laddove la Corte ha ritenuto che l’imputato fosse a conoscenza del processo, con violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e).

Con il secondo motivo di ricorso censura l’erronea applicazione dell’art. 603 c.p.p., comma 4, e la carenza e illogicità della motivazione in relazione al diniego della rinnovazione dibattimentale mediante l’esame della persona offesa, con violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

La Suprema Corte ha rigettato il motivo inerente l’eccezione di nullità del decreto di latitanza, affermando che esso fu emesso dopo l’effettuazione di ricerche esaustive. In particolare, risultava rispettata anche la norma di cui all’art. 169 c.p.p., comma 4, che secondo la giurisprudenza di legittimità deve ritenersi applicabile anche ai fini dell’emissione del decreto di latitanza.

In ordine al secondo e più complesso motivo inerente al diniego della rinnovazione dibattimentale la Corte ha ritenuto che la motivazione con cui la Corte di assise di appello, richiamando la norma di cui all’art 603 c-p.p., comma 4, ha respinto integralmente la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria effettuata nel procedimento di primo grado svolto in assenza del ricorrente, richiesta che comprendeva il nuovo svolgimento delle prove dichiarative già assunte e l’assunzione di nuovi testimoni, non applicava correttamente i principi giurisprudenziali  e le stesse norme del codice di rito.

Secondo la Corte, l’orientamento oggi prevalente, che riconosce all’imputato, rimesso in termini ai sensi dell’ art. 175 c.p.p., comma 2, il diritto ad una integrale rinnovazione istruttoria, non limitata dalla valutazione del giudice di appello circa la sua necessità, deve essere confermato. E’ evidente, infatti, che solo in tale modo è assicurato il diritto dell’imputato al pieno contraddittorio, e ad un confronto diretto con i soggetti che lo accusano, come previsto dall’art. 6, comma 1, lett. d), della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.  

La sentenza sottolinea poi che il giudice di appello deve mantenere pur sempre il potere-dovere di circoscrivere la rinnovazione istruttoria limitatamente all’esercizio dei diritti dell’imputato che avrebbe potuto esercitare se avesse partecipato al giudizio di primo grado, ponendo l’accento sulla decisività per la condanna  della prova della quale si chiede la rinnovazione, così riconoscendo al giudice dell’appello il potere-dovere di escludere la riassunzione di quelle prove che sono risultate inutili e,o irrilevanti ai fini della condanna.

 

Così operando, la sentenza della Suprema Corte, da una parte ridimensiona l’apparente conflitto giurisprudenziale tra le pronunce che ammettono un intervento regolatore del giudice e quelle che lo escludono, facendo rilevare che anche l’orientamento più rigoroso, secondo cui il diritto dell’imputato rimesso in termini “di esaminare o far esaminare i testimoni a carico… deve essere ripristinato nella sua interezza”, impone che la prova della quale si chiede la rinnovazione risulti “decisiva per la condanna”; dall’altra, ribadisce il potere-dovere del giudice di appello di stabilire il corretto ambito della rinnovazione istruttoria chiesta dall’imputato già contumace e rimesso in termini per l’impugnazione, osservando che sarebbe ingiustificato sottrarre totalmente al giudice il potere-dovere di valutare la rilevanza ed effettiva utilità delle prove richieste, sia in ossequio al principio costituzionale del diritto ad una breve durata del processo e sia perché un’acritica rinnovazione dell’intera istruttoria dibattimentale non pare soddisfare alcun interesse o diritto dell’imputato.

 

Cass.Pen. Sez. I ud. 21.09.2023 (dep. 12.12.2023) nr. 49347.

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