In tema di truffa, sono elementi costitutivi del reato l’ingiusto profitto conseguito dall’agente, e il danno ingiusto sofferto dalla persona offesa, sicché, nel caso in cui quest’ultima, per effetto della condotta fraudolenta, abbia consegnato al truffatore degli assegni bancari, il reato si consuma nel tempo e nel luogo di incasso dei titoli.
Principio consolidato, affermato tanto in relazione alla competenza territoriale quanto in relazione alla decorrenza dei termini di prescrizione (cfr. in termini Seconda Sezione, n. 189/2019, dep. 2020, CED 277814-01, e Seconda Sezione, n. 11102/2017, CED 169688), che, ribadendo quanto già statuito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18/2000, dep. 2001, CED 216429, reputa che il reato non possa dirsi consumato fino a quando non venga a concretizzarsi il vantaggio patrimoniale dell’agente, che rende definitiva la potenziale lesione del patrimonio della persona offesa.
La Suprema Corte, con la sentenza allegata, ritorna sul tema del momento consumativo del reato di truffa.
La Corte d’appello di Bologna, confermando la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Ravenna, condannava l’imputato alla pena di anni uno, mesi uno di reclusione ed euro 500 di multa per i reati di truffa (capi A, C ed E) ed appropriazione indebita (capi B e D), oltre al risarcimento dei danni a favore delle parti civili.
Nella fattispecie, il ricorrente, impugnando la sentenza emessa dalla corte bolognese, lamentava violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di truffa atteso:
- che il momento consumativo del reato previsto dalla norma contenuta nell’art. 640 c.p. (rientrando nella categoria dei “reati c.d. istantanei”) doveva essere individuato nel momento della emissione dell’assegno e della conseguente percezione del medesimo da parte dell’imputato;
- che la data di commissione del fatto è stata indicata in quella del 10.02.2014 (capo E);
- che il reato si sarebbe già prescritto alla data della sentenza di primo grado emessa il 4.11.2021.
Inoltre, in relazione ad altri due episodi di truffa, il ricorrente rappresentava che:
- in relazione al primo (capo A), a seguito della mancata corresponsione dei canoni di locazione da parte dell’imputato, si procedeva nei suoi confronti tramite ricorso per ingiunzione a seguito del quale veniva incardinato un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Di tal che, la natura della controversia presentava unicamente profili di natura civilistica aventi a oggetto il contratto di locazione, il mancato pagamento dei canoni di locazione da parte del locatario e l’impossibilità di riscossione dei medesimi da parte del locatore;
- con riguardo al secondo (capo C), invece, la Corte di appello non avrebbe considerato che il contratto di locazione – riguardante altro immobile diverso da quello indicato sub 1) – era stato stipulato nel febbraio del 2016 e che il bene era stato liberato dall’imputato nel maggio del medesimo anno. Di conseguenza risultava impossibile comprendere quale fosse l’offesa patita dalla p.o. e il danno patrimoniale subito posto che il medesimo (ossia il danno) non era stato indicato nel corpo della denuncia-querela, nell’atto di costituzione di parte civile e non era evincibile dagli esiti dell’istruttoria dibattimentale.
Il Supremo Collegio reputava il ricorso parzialmente fondato sulla base delle seguenti considerazioni di carattere logico-giuridico unicamente in relazione al capo E (truffa) della imputazione annullando senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla truffa di cui al ridetto capo E) perché estinta per intervenuta prescrizione e annullando con rinvio per una nuova determinazione della pena da irrogare.
Partendo dall’ipotesi di truffa, la cui data di commissione è stata indicata in quella del 10.02.2014, la Suprema Corte prende le mosse dal principio stabilito dalle SS.UU con la sentenza n. 18/2000 che ha sancito il principio di diritto secondo il quale: “poiché la truffa è reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo, nell’ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l’obbligazione della datio di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. Ne consegue che, qualora l’oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è quello dell’acquisizione da parte dell’autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poiché solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell’agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa“.
In tal senso, devesi rilevare che gli elementi costitutivi del reato di truffa sono:
- il conseguimento dell’ingiusto profitto da parte dell’agente;
- l’arrecare l’altrui danno.
Pertanto, ai fini della individuazione del momento consumativo del reato devesi accertare il tempo ed il luogo “dove si è realizzato l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato (Sez. 2, n. 31652 del 28/04/2017, Sanfilippo, Rv. 270606)”.
Ciò posto, con riferimento all’ipotesi di truffa contestata al capo E) della imputazione (trattavasi della dazione di una provvista consegnata all’imputato ai fini di investimento), l’investitore è stato truffato dall’imputato poiché egli:
- ha consegnato all’imputato due assegni bancari (il primo di euro 19.300,00 datato 30/10/2013, ed il secondo di euro 19.359,50 datato 10.02.2014);
- non ha ricevuto alcun profitto finanziario o, comunque, non ha ottenuto la restituzione della provvista consegnata ai fini dell’investimento oggetto di accordo tra le parti.
Di conseguenza, una concreta applicazione del principio sancito dalle Sezioni Unite inducono a ritenere, secondo il pronunciamento reso dalla Seconda Sezione, che “la truffa contrattuale de qua, avuto riguardo ai termini dell’accordo intervenuto tra (l’imputato e la persona offesa), si è perfezionata nel momento in cui, alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore che si è fatto consegnare gli assegni in vista dei futuri investimenti, ha fatto seguito, attraverso l’incasso dei titoli, la deminutio patrimonii del soggetto passivo e la locupletatio dell’agente, divenendo definitiva la lesione del patrimonio della persona offesa”.
Conclusivamente argomentando, la Corte di Cassazione (richiamando il principio stabilito la Sez. 2, n. 189 del 21/11/2019, dep. 2020, Bonometti, Rv. 277814) ribadisce:
- che, in caso di truffa commessa dall’intermediario finanziario che percepisca denaro, senza preventiva autorizzazione, da soggetti intenti a investire in operazioni di “trading” mobiliare, tale reato ha natura istantanea;
- che il momento consumativo, in tale occasione, è da individuarsi nel “momento della diminuzione patrimoniale e dell’ingiustificato arricchimento” soprattutto nel caso in cui le parti abbiano stipulato contratti di mandato in ragione dei quali l’intermediario finanziario (autore del reato) effettua l’investimento non autorizzato una volta ottenuta la somma dagli investitori (trattasi di reato a condotta istantane);
- che, invece, il reato di truffa (commesso sempre dall’intermediario finanzario) è da qualificarsi a “a consumazione prolungata” ove, “a fronte di un accordo iniziale, il cliente effettua periodici versamenti di somme scaglionate nel tempo”.
Ciò posto, nel caso di specie, la carenza di prova in ordine al momento di incasso degli assegni da parte dell’imputato (in relazione al capo E) della imputazione) – con “l’erronea chiosa dell’esistenza di una permanenza attuale” – e l’impossibilità di ritenere il reato di truffa un “un reato permanente consumatosi come dies ad quem nella data della pronuncia di primo grado, e considerando la data di commissione del fatto in quella “più recente” del 02/10/2014” induceva la Suprema Corte a ritenere il reato estinto per intervenuta prescrizione e rigettava il ricorso nel resto.
Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 46212/2023
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