Se la disciplina del regime di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi, di cui all’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. – nel testo introdotto dall’art. 2 del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7 e anteriore al decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137 – operi nel caso in cui il procedimento nel quale sono state compiute le intercettazioni e il procedimento diverso siano stati iscritti successivamente al 31 agosto 2020 ovvero nel caso in cui solo quest’ultimo sia stato iscritto dopo tale data.
La Procura della Repubblica ha instaurato un primo procedimento per il delitto di tentata estorsione ai danni della denunciante, disponendo l’intercettazione delle conversazioni dalla stessa intrattenute, per poi, a seguito dello sviluppo delle indagini, disporre la formazione di un nuovo fascicolo a carico di ignoti, cui ha fatto seguito l’instaurazione del procedimento a carico di noti (anzitutto, la denunciante della tentata estorsione), nel quale in particolare si è proceduto nei confronti dei ricorrenti per il delitto di associazione per delinquere, iscritto nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. il 28 marzo 2022. In quest’ultimo procedimento è stato acquisito l’esito delle intercettazioni disposte nel primo procedimento; sicchè l’utilizzabilità a carico degli indagati del compendio intercettivo deve compiersi in ossequio all’art. 270, comma 1, cod. proc. pen., che per l’appunto regola l’utilizzazione in altri procedimenti delle intercettazioni.
In quest’ottica, pur a fronte delle modifiche al testo dell’art. 270 cpp, deve considerarsi fermo l’insegnamento ancora recente delle Sezioni Unite, secondo cui – in relazione al disposto dello stesso articolo – non deve considerarsi «diverso» il procedimento (che è, pertanto, sottratto all’operatività del divieto posto dall’art. 270, comma 1, cit.) solo «in caso di imputazioni connesse ex art. 12 cpp ossia in presenza di un legame sostanziale […] e non meramente processuale» (ossia di «un legame L.] indipendente dalla vicenda procedimentale ), tra il reato per cui è stata autorizzata la captazione e quello «accertato in forza dei risultati dell’intercettazione», dovendosi giungere a una conclusione contraria nelle ipotesi di collegamento investigativo di cui all’art. 371 cod. proc. pen. (per cui non ricorra la connessione; Sez. U, n. 51/2019 – dep. 2020, cit.).
Nella specie, non consta alcuna delle ipotesi di connessione previste dall’art. 12 cit. (concorso di persone, cooperazione o determinazione dell’evento da parte di più persone con condotte indipendenti; concorso formale o continuazione; commissione di reati per eseguire o per occultare gli altri) tra il delitto associativo, finalizzato alla commissione di più delitti contro la fede pubblica, da una parte, e, dall’altra, i reati denunciati dalla (omissis) e, segnatamente, il fatto estorsivo in suo danno con riguardo al quale sono state autorizzate le intercettazioni.
Occorre quindi comprendere, sostiene la Suprema Corte, se il testo dell’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. che viene in rilievo ratione temporis sia o meno quello introdotto dal decreto legge 30 dicembre 2019, n. 161, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7, secondo cui «i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’articolo 266, comma 1 cpp». Tale norma – la cui entrata in vigore è stata più volte differita – disciplina i «procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020» (art. 2, comma 8, decreto legge 161 cit., come sostituito dall’art. 1, comma 2, decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 2020, n. 70). Essa, a differenza del testo precedente – secondo cui «i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza» – pone «due distinte deroghe» al divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, poiché ha affiancato all’ipotesi già contemplata dell’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, l’accertamento dei reati di cui all’art. 266, comma 1, cod. proc. pen.; ed ha previsto che l’utilizzabilità non richieda solo l’indispensabilità delle captazioni per il detto accertamento ma anche la rilevanza di esse (cfr. Sez. 5, n. 37169 del 20/07/2022, S., Rv. 283874 – 02, che tanto ha soggiunto: «Siffatta locuzione, che aggiunge al carattere di indispensabilità anche quello di rilevanza, implica innovativamente, ed in modo rafforzato, la valutazione del “peso” del mezzo di prova, dovendo il giudice esplicitare, con adeguata motivazione, la rilevanza e la imprescindibilità delle captazioni autorizzate nel procedimento a quo, per la prova dei reati contestati nel diverso procedimento ad quem»; sulla previsione dell’accertamento dei reati di cui all’art. 266, comma 1, cod. proc. pen., a mente del testo in commento dell’art. 270, comma 1, cit., quale deroga al divieto di utilizzazione ulteriore rispetto a quella già contemplata dell’accertamento dei reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, cfr. pure Sez. 6, n. 47235 del 17/11/2021, Ierardi, n.m.).
Non rileva, invece, nel caso in esame, la più recente novella al medesimo art. 270, comma 1, ex art. 1 del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, che ha soppresso, nel corpo di esso il riferimento ai reati di cui all’art. 266, comma 1, cit., e «si applica ai procedimenti iscritti successivamente alla data di entrata in vigore» della stessa legge di conversione (ossia al 9 ottobre 2023: cfr. art. 1, comma 2, I. 137 cit.).
Non vi è dubbio che per il delitto di cui all’art. 416, commi 1 e 3, cod. pen. per cui si procede, la cui pena edittale (la reclusione da tre a sette anni) è inferiore a quella prevista dall’art. 380, comma 1, cod. proc. pen., non sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, neppure a mente dell’art. 380, comma 2, lett. m), cit., dato che l’associazione in incolpazione – nella prospettazione del Pubblico ministero, accolta dal Tribunale – non è diretta alla commissione di più delitti tra quelli richiamati dalla stessa lettera m). Tuttavia, esso rientra – proprio in ragione della pena per esso prevista – tra i reati di cui all’art. 266, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. (che ammette le intercettazioni nei procedimenti relativi ai «delitti con colposi per i quali è prevista […] la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’art. 4»).
È allora dirimente comprendere, dice la Corte, a quali procedimenti si applichi la disciplina posta dall’art. 270, comma 1, cit. nel testo anteriore alla recente modifica, in quanto proprio sull’ambito applicativo di tale testo si registra un contrasto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Un primo orientamento, nel presupposto – fondato, tra l’altro, su Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi, Rv. 244378 – 01, e Sez. 2, n. 22016 del 06/03/2019, Nicotra, Rv. 276965 – 01 – che, «nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero, salvi i casi di aggiornamento dell’iscrizione per il mutamento della qualificazione giuridica del fatto e per l’accertamento di circostanze aggravanti, deve procedere a nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato sia quando acquisisce, nei confronti della stessa persona, elementi in ordine a fatti ulteriori costituenti reato, sia quando raccoglie, a carico di persone diverse dall’originario indagato, elementi in relazione al medesimo o ad un nuovo reato», ha ritenuto che «la locuzione “procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020” […] faccia riferimento a tutte le notizie di reato che, dopo tale data, s[o]no state oggetto di nuova ed autonoma iscrizione, quale che sia la forma utilizzata dal pubblico ministero» (Sez. 5, n. 37169/2022, cit.; conf. Sez. 5, n. 37911 del 20/07/2022, Saponara, n.m.). L’esegesi in discorso ha attribuito rilievo, per quel che qui interessa, al dato secondo cui – a differenza delle precedenti norme che avevano differito l’entrata in vigore dell’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. come introdotto dal decreto legge 30 dicembre 2019, n. 161, le quali avevano indicato quale parametro da considerare il tempus di emissione dei provvedimenti autorizzativi delle captazioni – la norma transitoria sia stata riscritta nel senso di riconoscere rilievo al riguardo all’iscrizione del procedimento, per l’appunto, facendo riferimento, alla luce dell’ultima modifica ai «procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020» (art. 2, comma 8, decreto legge 161 cit., come sostituito dall’art. 1, comma 2, decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 2020, n. 70). Secondo questa prospettiva ermeneutica, tale diverso parametro sarebbe funzionale ad «evitare la commistione di discipline diverse applicabili alle intercettazioni disposte nello stesso procedimento […], in tal modo abdicando al principio “tempus regit actum”, che invece ispirava la precedente versione della stessa disposizione la quale, come si è visto, faceva riferimento all’epoca di adozione dei decreti autorizzativi»; e renderebbe «ragione […] di come la locuzione “procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020” si riferisca ai procedimenti nel cui ambito si intendano utilizzare i risultati di intercettazioni aliunde captate, e non già ai procedimenti in cui le stesse siano state autorizzate», in quanto «è solo riguardo [al]la circolazione extraprocedimentale del dato captativo che si pone […] la questione del divieto di utilizzabilità e delle deroghe, e non già nel diverso procedimento nel quale le intercettazioni stesse siano state generate» (ivi); e ciò, senza che ne conseguano «palesi tensioni con i princìpi fondamentali» alla luce della giurisprudenza costituzionale.
È stata, tuttavia, resa una diversa lettura del medesimo quadro normativo.
Anch’essa ha preso le mosse dalla disciplina transitoria – già sopra richiamata – che ha differito l’entrata in vigore dell’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. (nel testo introdotto dal decreto legge n. 161/2019, conv. con mod. dalla legge n. 7/2020), prevedendo che si applichi ai «procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020», rimarcando che in parte qua la disciplina delle intercettazioni (così novellata) «è entrata in vigore solo dopo quest’ultimo intervento di proroga» (Sez. 6, n. 9846/2022 – dep. 2023, cit., che espressamente ha ripercorso il ragionamento svolto da Sez. 6 n. 47235/2021, cit.). E da tale dato ha tratto, proprio con riferimento all’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. e più specificamente alle menzionate modifiche («che hanno sostanzialmente ampliato l’ambito della deroga al divieto di utilizzabilità delle intercettazioni disposte in altro procedimento, aggiungendo all’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza anche l’accertamento dei reati di cui all’art. 266, comma 1, stesso codice»), che «la disciplina sopravvenuta non è applicabile alle intercettazioni disposte ed autorizzate […] prima della data del 31 agosto 2020».
Secondo questo piano interpretativo, «il riferimento alla data di iscrizione del procedimento» assolve «alla funzione di delimitare l’ambito di applicazione» della disciplina in discorso «e dunque di escludere che essa trovi applicazione per le autorizzazioni che, sebbene siano state disposte successivamente a tale data, sono relative a procedimenti iscritti in epoca antecedente ad essa». Dunque, «rispetto alle intercettazioni disposte con provvedimenti autorizzativi anteriori al 31 agosto 2020», tale disciplina «non è applicabile, essendo evidente che per tali provvedimenti l’epoca di iscrizione del procedimento è necessariamente anteriore», in quanto «l’iscrizione del procedimento [è] un adempimento che precede tutti gli atti che si sviluppano al suo interno»; e «le intercettazioni eseguite nella vigenza della precedente disciplina, e quindi disposte nei limiti ed alle condizioni stabilite dalle norme di legge vigenti al momento della loro autorizzazione, non possono mutare regime normativo per effetto di sviluppi procedimentali successivi, derivanti dalla decisione di separare dall’originario procedimento alcune posizioni ovvero alcuni reati con conseguente trasmissione degli atti da un ufficio di Procura ad un altro, per ragioni di competenza territoriale e/o funzionale». Con la conseguenza che, in tali ipotesi, «al fine della verifica della utilizzabilità delle captazioni è necessario fare riferimento alla disciplina previgente e ai principi fissati da Sez. U. n. 51/2019, dep. 2020, cit. In tale prospettiva, «il riferimento alla data di iscrizione del procedimento» – come detto, da ultimo scelto dal Legislatore per la regola transitoria de qua – «serve solo a delimitare l’ambito di applicazione» della disposizione contemplata dall’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. (nel testo, che qui interessa, anteriore alla più recente novella, la quale ha nuovamente soppresso il riferimento ai reati di cui all’art. 266, comma 1, cit.) «per escluderla per le autorizzazioni che, sebbene siano state disposte successivamente a tale data, sono relative a procedimenti iscritti in epoca antecedente ad essa»; infatti, «la deroga al principio generale del tempus regit actum, che regola la successione delle leggi processuali in difetto di diverse disposizioni, riguarda esclusivamente i provvedimenti autorizzativi che[,] sebbene emessi dopo» il 31 agosto 2020, «sono relativi ad un procedimento iscritto prima. Soltanto in tali casi la nuova disciplina non potrà essere applicata per la finalità – sottesa alla modifica operata dal d.l. n.161 del 2019 del criterio temporale riferito non più alla data di emissione del provvedimento ma a quello di iscrizione del procedimento – di assimilare la disciplina delle intercettazioni nell’ambito dei procedimenti per i quali le intercettazioni erano già in corso alla data del 31 agosto 2020, attraverso una sorta di ultrattività della vecchia disciplina anche oltre tale data che segna l’entrata in vigore della nuova disciplina» (Sez. 6, n. 47235/2021, cit.).
Il contrasto interpretativo appena delineato e la speciale importanza della questione, che ha incidenza estesa ed immediata sui procedimenti celebrati dopo il 31 agosto 2020 e prima dell’entrata in vigore della più recente novella, impone di rimettere i ricorsi in esame alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen., in relazione alla seguente questione:
«Se la disciplina del regime di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi, di cui all’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. – nel testo introdotto dal decreto legge 30 dicembre 2019, n. 161, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7 ed anteriore al decreto legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137 -, operi soltanto nel caso in cui il procedimento nel quale sono state compiute le captazioni e il procedimento diverso siano stati iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ovvero nel caso in cui solo quest’ultimo sia stato iscritto dopo tale data».
Cass. Pen. sez. 5 ordinanza n. 46832 del 14 novembre (dep. 21 novembre) 2023
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