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In tema di delitti contro l’amministrazione della giustizia, non è configurabile il delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento dell’Autorità giudiziaria fonte di obblighi, di cui all’art. 388, comma primo, cod. pen., nel caso di inosservanza degli obblighi nascenti da una sentenza costitutiva non ancora irrevocabile, emessa dal giudice civile ai sensi dell’art. 2932 c.c., posto che la stessa spiega la sua efficacia con decorrenza “ex nunc”, sicché gli obblighi che ne derivano divengono, per il destinatario, attuali ed esecutivi solo con il suo passaggio in giudicato.

La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso della parte civile che lamentava la violazione dell’art. 388 cp in ipotesi di inosservanza degli obblighi nascenti da una sentenza emessa dal giudice civile ai seni dell’art. 2932 c.c., ha precisato che la condotta prevista dall’art. 388, comma 1, cod. pen. è strutturata in modo complesso: essa richiede un presupposto, costituito dalla esistenza di un obbligo accertato con un provvedimento giurisdizionale, ed un’azione, costituita dal compimento di atti simulati o fraudolenti e dall’inottemperanza alla ingiunzione di eseguire il provvedimento.

 

Il presupposto del reato, prima della modifica apportata con la legge 15 luglio 2009, n. 94, era costituito dalla esistenza di una sentenza di condanna contenente l’accertamento di obblighi civili e la giurisprudenza e la dottrina avevano dato al sintagma “sentenza di condanna” una interpretazione ampia, facendovi ricomprendere qualsiasi provvedimento di natura decisoria, emesso in sede giurisdizionale, da cui nascessero obblighi civili. La riforma del 2009 ha recepito il diritto vivente e codificato quale presupposto della condotta l’esistenza di qualsiasi provvedimento dell’autorità giudiziaria fonte di obblighi, recidendo in tal modo ogni dubbio sulla natura del provvedimento idoneo ad integrare la fattispecie. Deve, dunque trattarsi, dice la Corte, di un provvedimento da cui scaturiscono obblighi.

 

Con specifico riguardo alla sentenza emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c., le Sezioni unite civili hanno chiarito che in ragione della peculiarità dell’azione personale e non reale prevista dalla norma in questione e della sua correlata sentenza, questa ha natura costitutiva e spiega la sua efficacia solo con decorrenza “ex nunc” al momento del suo passaggio in giudicato, con conseguente necessità della sussistenza delle condizioni dell’azione al momento dell’intervento della pronuncia. Ne consegue, hanno aggiunto le Sezioni Unite, che quando detta sentenza abbia subordinato l’effetto traslativo al pagamento del residuo prezzo, l’obbligo di pagamento in capo al promissario acquirente non diventa attuale prima dell’irretrattabilità della pronuncia giudiziale, essendo tale pagamento la prestazione corrispettiva destinata ad attuare il sinallagma contrattuale.

 

Le sentenze emesse ai sensi dell’art. 2932 c.c. non possono dunque conoscere un’efficacia esecutiva anticipata rispetto al momento della formazione del giudicato perché l’effetto traslativo della compravendita è condizionato dall’irretrattabilità della pronuncia con la quale viene determinato l’effetto sostitutivo del contratto definitivo non stipulato. Nella occasione le Sezioni unite hanno aggiunto che nel caso, come quello in esame, di condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo della vendita, non è possibile riconoscere effetti esecutivi nemmeno a tale punto della sentenza altrimenti si verrebbe a infrangere il nesso tra il trasferimento della proprietà derivante dalla pronuncia costitutiva ed il pagamento del prezzo della vendita. L’effetto traslativo della proprietà del bene si produce solo con l’irretrattabilità della sentenza per cui è da escludere che prima del passaggio in giudicato della sentenza sia configurabile un’efficacia anticipata dell’obbligo di pagare il prezzo: si verificherebbe un’alterazione del sinallagma.

 

Ritenere diversamente, hanno ancora spiegato le Sezioni unite, consentirebbe alla parte promittente venditrice – ancora titolare del diritto di proprietà del bene oggetto del preliminare – di incassare il prezzo prima ancora del verificarsi dell’effetto, verificabile solo con il giudicato, del trasferimento di proprietà. Secondo le Sezioni unite, possono quindi ritenersi anticipabili i soli effetti esecutivi dei capi che sono compatibili con la produzione dell’effetto costitutivo in un momento temporale successivo, ossia all’atto del passaggio in giudicato del capo di sentenza propriamente costitutivo, come, ad esempio, la condanna al pagamento delle spese processuali contenuta nella sentenza che accoglie la domanda, mentre invece, la provvisoria esecutività non può invece riguardare quei capi condannatori che si collocano in un rapporto di stretta sinallagmaticità con i capi costitutivi relativi alla modificazione giuridica sostanziale (così testualmente, Sez. U, civ., n. 4059 del 22/02/2010, Rv. 611649).

 

Era dunque chiaro che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente parte civile, dalla sentenza costitutiva emessa dal Tribunale ai sensi dell’art. 2932 c.c. non derivava nessun obbligo civile attuale ed esecutivo, rispetto al quale l’imputata era in quel momento tenuto ad adempiere, né quanto al trasferimento dell’immobile e neppure quanto al pagamento del prezzo; sicchè il reato di cui all’art. 388 cp non era configurabile.

 

La Corte di cassazione ha peraltro spiegato che è la trascrizione della domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di trasferire la proprietà di un bene immobile che rende inopponibili al promissario acquirente le alienazioni a terzi effettuate dal promittente venditore in epoca successiva e che rende anche “possibile” il trasferimento del bene in favore del promissario, che, altrimenti, nel suddetto caso di successiva alienazione dell’immobile, secondo i principi generali non potrebbe più avere luogo ( Cass. civ., Sez. 2, n. 24960 del 24/11/2014, Rv. 633373; Cass. civ., Sez. 2, n. 4819 del 14/04/2000, Rv. 535687; cfr., anche, in tema di opponibilità alla massa dei creditori della sentenza di trasferimento pronunciata ai sensi dell’art. 2932 c.c. in caso di trascrizione della domanda anteriormente a quella della sentenza dichiarativa del fallimento del promittente venditore; Sez. U, civ., n. 10436 del 7/07/2004).

 

Secondo un generale principio costantemente affermato dalla giurisprudenza la vendita a terzi con atto trascritto di un bene immobile che abbia già formato oggetto, da parte del venditore, di una precedente alienazione si risolve nella violazione di un obbligo contrattualmente assunto nei confronti del precedente acquirente, determinando la responsabilità contrattuale dell’alienante con connessa presunzione di colpa ex art. 1218 cod. civ.; per converso la responsabilità del successivo acquirente, rimasto estraneo al primo rapporto contrattuale, può configurarsi soltanto sul piano extracontrattuale ove trovi fondamento in una dolosa preordinazione volta a frodare il precedente acquirente o almeno nella consapevolezza dell’esistenza di una precedente vendita e nella previsione della sua mancata trascrizione e quindi nella compartecipazione all’inadempimento dell’alienante in virtù dell’apporto dato nel privare di effetti il primo acquisto, al cui titolare incombe di conseguenza la relativa prova a norma dell’art. 2697 cod. civ. (Cfr., Cass, Sez. 2, 8403 del 18108/1990 Rv. 468915; Sez. 2, n. 76 del 08/01/1982 Rv. 417767; Sez. 2, 4090 del 15/06/1988 Rv. 459190). Il principio, affermato in caso di doppia alienazione immobiliare, vale logicamente anche nel caso, come quello di specie, di preliminare di vendita a seguito del quale, il promittente-venditore abbia alienato il bene oggetto del preliminare ad un diverso soggetto ed il promissario acquirente non abbia in precedenza trascritto la domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto (Cass., civ., Sez. 2, n. 20251 del 07/10/2016, Rv. 641719).

 

Di talché, la condotta posta in essere dall’imputata potrà al più costituire un inadempimento contrattuale con conseguente obbligo risarcitorio, ma non integra, per le ragioni indicate, la fattispecie di reato contestata da cui far discendere un danno criminale.

 

Cassazione penale sez. VI n. 43306 dell’11/07/2023 dep. il 25/10/2023

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