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La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, interviene sul tema della inutilizzabilità dei documenti anonimi offrendo una mirata interpretazione della norma che prevede il relativo divieto.

Il presente caso giudiziario trae spunto dall’arresto in flagranza di P.M. il quale veniva trovato in possesso di un involucro contenente sostanza stupefacente.

Gli ufficiali di P.G., che procedevano all’apertura del pacco, rinvenivano al suo interno, insieme con lo stupefacente, anche un documento anonimo contenente un messaggio inviato dal venditore all’acquirente a mezzo del quale quest’ultimo veniva sollecitato a corrispondere il prezzo di precedenti cessioni di droga.

Il giudice della cautela, nella parte motiva del provvedimento applicativo della misura, faceva espressa menzione di tale documento e ne utilizzava il contenuto per argomentare in punto di esigenze cautelari rilevando che esso offriva piena prova in ordine ai collegamenti esistenti tra l’indagato e la criminalità organizzata sì da rendere concreto ed attuale il pericolo di recidiva.

La difesa proponeva ricorso per Cassazione lamentando la violazione della norma contenuta nell’art. 240 c.p.p. posto che il giudice della cautela aveva fatto, sostanzialmente, uso del contenuto del documento anonimo assegnando valore indiziante alle dichiarazioni ivi incluse.

La Corte di Cassazione respingeva il ricorso evidenziando che il tribunale del riesame non ha utilizzato il documento anonimo “nella sua valenza rappresentativa di quanto in esso affermato, ma quale fatto storico, idoneo a rappresentare l’esistenza di accordi ben precisi nell’ambito di una illecita relazione criminosa di cui P.M. si era reso latore oltre a fungere da trasportatore dello stupefacente, a sostegno di una compenetrazione dello stesso nell’alveo di illecite relazioni”.     

La riferita pronuncia, se analizzata con riferimento al caso concreto, è, evidentemente, fondata su un equivoco posto che il “fatto storico” del quale si fa menzione – siccome costituito dall’esistenza di accordi ben precisi intercorsi tra narcotrafficanti – viene, pur sempre, desunto dalle dichiarazioni anonime contenute nel documento che viene, pertanto, utilizzato quale prova.

Pertanto, nella fattispecie concreta, è stato, di fatto, legittimato l’uso probatorio di un documento anonimo a contenuto dichiarativo.

Ciò posto, quel che rileva ai fini della presente trattazione è il principio di diritto che viene affermato con la sentenza in esame e gli effetti che ne discendono siccome concernenti la possibilità di fare uso, seppure parziale, del documento anonimo e del suo contenuto. 

In particolare, la Corte di Cassazione, con detta pronuncia, offre una qualificata ermeneusi della norma contenuta nell’art. 240 c.p.p. limitando la sanzione ivi prevista soltanto ai documenti anonimi “contenenti dichiarazioni anonime”.

La Suprema Corte, con la citata pronuncia, opera una scissione tra il documento e il suo contenuto sostanzialmente affermando la possibilità di farne uso a condizione che esso non contenga dichiarazioni.

In tal caso, l’accertamento e il conseguente uso probatorio del documento anonimo, secondo tale pronuncia, dovrebbe essere limitato al fatto che “un documento anonimo sia stato formato ed abbia un determinato contenuto”.

Orbene, il fatto che sia stato “formato” un documento anonimo è un dato normalmente privo di efficacia dimostrativa stante l’impossibilità di collegare tale accadimento a una persona determinata.

Diversamente argomentando il documento perderebbe il menzionato carattere e non vi sarebbe più alcun limite normativo all’integrale uso probatorio del medesimo.

Invece, peculiare problema di carattere interpretativo pone l’ulteriore segmento argomentativo secondo cui l’accertamento può essere, di fatto, esteso al contenuto del documento.

L’effetto dianzi indicato ossia la possibilità di accertare quale è il contenuto di un documento anonimo sembra essere escluso dal successivo segmento argomentativo secondo cui il carattere, appunto anonimo, del documento ne impedisce l’utilizzo come “fonte di prova di quanto rappresentato nelle dichiarazioni raccolte”.

Orbene, la statuizione in esame appare contraddittoria posto che essa, da un lato, non impedisce (e, quindi, consente) di accertare quale è il contenuto del documento anonimo, mentre, dall’altro, pone il divieto di farne uso.

L’apparente contraddittorietà della pronuncia in esame è insita nel fatto che la processualizzazione di un elemento contenuto in un qualsiasi atto procedimentale è, di regola, un fatto prodromico all’uso probatorio del medesimo.

E, invero, è giuridicamente insensato far divenire prova qualcosa che, poi, non può essere impiegata come tale.

In particolare, è operazione giuridicamente discutibile quella di accertare quale è il contenuto di un documento anonimo intriso di dichiarazioni se, poi, lo stesso non può essere utilizzato per provare “quanto”, da esse, “rappresentato”.

Pertanto, la logica lettura della pronuncia in esame, tesa a offrire una corretta interpretazione della norma contenuta nell’art. 240 c.p.p., induce a ritenere che bisogna distinguere i documenti anonimi in base al loro contenuto procedendo alla diversificazione del medesimo.

Di tal che, vi sono documenti anonimi a contenuto dichiarativo e altri che non contengono scritti riconducibili a tale categoria.

Orbene, la pronuncia in esame ammette la possibilità di fare uso probatorio dei documenti anonimi che non contengono dichiarazioni consentendo l’accertamento di dati inerenti alla formazione e al contenuto del medesimo.

Orbene, l’importanza della pronuncia in esame risiede nel fatto che l’utilizzazione, seppure parziale, del documento anonimo che viene, con essa, assentita non è espressamente prevista dalla legge processuale.

Infatti, la norma di riferimento non legittima l’indiscriminato uso dell’anonimo, ma, unicamente, vieta l’impiego di quelli che contengono dichiarazioni anonime. 

Pertanto, la possibilità di utilizzare il contenuto non dichiarativo di un documento anonimo viene ricavata in via interpretativa delimitando il divieto normativamente previsto.

Il divieto probatorio è diretto.

Invece, il diritto di fare uso del documento anonimo è riconosciuto in modo indiretto assentendo qualsiasi attività che non sia espressamente vietata.

Tale dato pone un primo problema di carattere ermeneutico attesa la necessità di stabilire se la presenza di dichiarazioni anonime nel corpo di un documento ne impedisce integralmente l’uso oppure se il relativo divieto deve intendersi limitato alla sola parte dichiarativa connotante il medesimo.

Si pensi a  titolo esemplificativo a un documento anonimo a contenuto misto nel corpo del quale oltre ad esservi dichiarazioni (ovviamente anonime) siano presenti altri segni grafici quali disegni o numeri.

In tal caso, la struttura lessicale della norma viene in aiuto dell’interprete posto che il divieto d’uso, ivi previsto, non è riferito alle sole dichiarazioni anonime, ma all’intero documento che le contiene.

Anzi, il divieto di acquisizione e di utilizzazione viene previsto unicamente in relazione al documento quando esso contiene dichiarazioni anonime che, di conseguenza, non possono essere usate.

Ciò implica che la presenza della dichiarazione anonima è ostativa all’effettuazione di qualsiasi attività processuale avente quale oggetto il documento che le contiene.

Ne deriva che quando il documento anonimo contiene dichiarazioni anonime lo stesso non può essere, neppure in parte, utilizzato.

Diversamente accade quando il documento anonimo non contiene dichiarazioni.

In tal caso, secondo la pronuncia in esame, il contenuto del documento anonimo può essere processualizzato atteso che esso può divenire elemento di prova e costituire oggetto di successiva valutazione giudiziale.

La processualizzazione del contenuto del documento implica la possibilità di fare uso del medesimo ai fini dell’accertamento penale.

Ciò posto, i documenti che contengono dichiarazioni anonime, conformemente alla disposizione di cui all’art. 240 c.p.p., non possono essere utilizzati.

Peraltro, l’utilizzo di tali documenti e delle dichiarazioni in essi contenute deve ritenersi radicalmente vietato, nel corso dell’intero procedimento, stante l’inciso (“né in alcun modo”) incluso nella norma di riferimento che rafforza il precetto escludendone, in qualsiasi “modo”, l’uso.

Inoltre, la disposizione normativa in esame sostanzialmente risolve anche il problema precedentemente trattato ovvero quello connesso alla possibilità di processualizzare il contenuto del documento anonimo espressamente vietandone l’acquisizione.

Il termine “acquisizione”, incluso nella norma di riferimento, sembra riferirsi  alla fase dibattimentale o, comunque, a qualsiasi attività di acquisizione probatoria da effettuarsi in contraddittorio tra le parti categoricamente precludendo detta possibilità per le dichiarazioni anonime contenute nel relativo documento e, ovviamente, anche per il documento che le contiene.

Ne deriva che non può essere acquisito al fascicolo tutto ciò che non può essere successivamente utilizzato quale prova del fatto descritto nella imputazione.

Peraltro, al divieto di acquisizione delle dichiarazioni anonime fa riscontro quello di utilizzazione delle medesime siccome rafforzato, come avanti specificato, dall’inciso “né in alcun modo” incluso nella norma contenuta nell’art. 240 c.p.p..

Ciò implica che il divieto d’uso è assoluto, si riferisce a tutte le fasi del procedimento e riguarda tutti gli atti che lo compongono.

In proposito, l’unica deroga, rispetto a tale regola di carattere generale, sembra essere rappresentata dagli atti investigativi non garantiti, da quelli che non sono soggettivamente orientati e da tutte quelle attività di carattere tecnico unicamente funzionali all’identificazione personale dell’autore del documento anonimo quali, ad esempio, gli accertamenti di natura grafica per individuare colui che lo ha redatto.

Tali brevi considerazioni, formulate prendendo spunto dal dato testuale incluso della norma di riferimento, consentono di dare una corretta interpretazione alla pronuncia in esame perimetrandone i contenuti e arginandone i potenziali effetti.

Di tal che, la possibilità di “accertare” quale è il contenuto di un documento anonimo e di utilizzarlo quale prova unicamente si riferisce a tutti i documenti formati da mano ignota che non presentano contenuto dichiarativo ovvero non contengono la manifestazione del pensiero di un soggetto ignoto.

Tali documenti, il cui contenuto sfugge alla sanzione processuale prevista dalla norma di riferimento, possono costituire oggetto di accertamento giudiziale nel senso che, durante la fase istruttoria, si può discutere della loro formazione e del relativo contenuto siccome pienamente utilizzabile quale prova del fatto descritto nell’imputazione.

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Avv. Antonio Russo

Avvocato del foro di Locri

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