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In tema di confisca penale, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2023, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della disposizione di cui all’art. 37, primo periodo, legge 17 ottobre 2017, n. 161, nella parte in cui non escludeva che il termine decadenziale di cui all’art. 1, commi 199 e 205, legge 24 dicembre 2012, n. 228, potesse decorrere prima dell’entrata in vigore del menzionato art. 37, in caso di decisioni di confisca penale ex art. 240- bis cod. pen. intervenute nel periodo compreso tra l’01/01/2013, data di entrata in vigore della legge n. 228 del 2012, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”, e il 19/11/2017, data della vigenza della legge n. 161 del 2017, la tempestività delle domande di tutela della posizione creditoria incisa dal provvedimento ablatorio, ove ancora pendenti, deve essere valutata avendo riguardo alla disciplina prevista dall’art. 58, comma 5, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nel testo attualmente in vigore, in quanto più favorevole di quello previgente, sicché tali domande risulteranno ammissibili ove sia decorso un tempo inferiore ad un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo.

La Corte di Appello di Firenze – quale giudice del rinvio – ha dichiarato inammissibile, per tardività, la domanda di tutela di una posizione creditoria (originariamente assistita da ipoteca) incisa da confisca emessa (ai sensi dell’art.240 bis cod.pen.) in un procedimento penale definito in data 8 maggio 2013.

Sulla complessa vicenda processuale erano intervenute due decisioni rescindenti. Con la prima (sent. n. 22303 del 2018) la Corte di Cassazione ha rilevato che, in rapporto al tema della tempestività della domanda (regolamentato dall’art.37 della legge n.161 del 2017 nella parte in cui rende applicabile alla confisca penale, con interpretazione autentica, la disciplina della legge di stabilità del 2012), se da un lato il termine di 180 giorni dalla definitività del provvedimento era di certo scaduto, dall’altro non era stata verificata la regolarità degli adempimenti procedurali di competenza della Agenzia Nazionale, con necessità di verificare l’effettiva conoscenza del provvedimento ablatorio da parte del creditore. Con la seconda decisione di annullamento (la numero 2016 del 2021) la Corte, sempre in riferimento al quadro normativo vigente all’epoca, aveva evidenziato che la decisione emessa in sede di rinvio aveva, in sostanza, eluso la verifica richiesta dalla prima decisione rescindente, basandosi sui contenuti di una posteriore decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

La decisione da ultimo ricorsa affronta il tema posto dalla ultima sentenza rescindente ma il quadro di riferimento normativo è, nel frattempo, mutato in forza dei contenuti della sentenza n.18/2023 della Corte Costituzionale, depositata il 10 febbraio del 2023. In accoglimento di una questione di legittimità costituzionale relativa all’art.37 della legge n.161 del 2017 (nella parte in cui rendeva applicabili le disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 194 a 206, della legge 24 dicembre 2012, n.228 alle statuizioni di confisca emesse in sede penale), la Corte cost. ha così provveduto: dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, primo periodo, della legge 17 ottobre 2017, n. 161 (Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate), nella parte in cui non esclude che il termine di decadenza di cui all’art. 1, commi 199 e 205, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)» possa decorrere prima dell’entrata in vigore del menzionato art. 37.

E’ dunque venuta meno per il periodo 2012/2017 – con il tipico effetto ex tunc correlato alle pronunzie dichiarative della illegittimità costituzionale, su cui v. tra le molte Sez. U n. 42858 del 29.5.2014, Gatto – la disposizione di interpretazione autentica contenuta nel citato articolo 37 (che aveva reso applicabile alla confisca penale la disciplina transitoria dettata per la confisca di prevenzione) in forza della quale le precedenti decisioni della Corte di Cassazione avevano ritenuto la domanda di tutela “apparentemente tardiva” ma bisognosa di verifiche sul punto della effettiva conoscenza della decisione di confisca in capo al creditore.

È pertanto palese che il novum apportato dalla decisione del giudice delle leggi debba trovare applicazione nel caso in esame, trattandosi – peraltro – di un rapporto ancora «pendente» in forza della mancata definitività della decisione di inammissibilità della originaria domanda. Il mutato scenario normativo – in altre parole – impone di ritenere «costituzionalmente valida» la sola linea interpretativa (tra le molte Sez. I n. 26527 del 20.5.2014 ric. Italfondiario rv 259331) che da un lato aveva sostenuto che con le modifiche contenute nella legge del 2012 (il comma 190 relativo al testo dell’art.12 sexies 1.356 del 1992) era stata sancita la applicabilità alla confisca cd. estesa delle disposizioni (art. 52 e ss.) introdotte dal decreto legislativo n.159 del 2011 in tema di tutela del credito, dall’altro aveva sottolineato che le disposizioni transitorie della legge del 2012 (i commi da 194 a 206) andavano applicate esclusivamente alla confisca di prevenzione.

E se l’esistenza di una sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale travolge l’assetto giuridico fissato nelle due decisioni rescindenti, basate proprio sulla disposizione espunta dall’ordinamento (tra le molte, in tema di giudizio di rinvio posteriore ad annullamento, v. Sez. VI n. 48832 del 25.10.2022, rv 284028), così come travolge la decisione impugnata, appunto per sopravvenuta assenza della disposizione regolatrice posta a base dell’annullamento, diventa fondamentale comprendere, per il periodo intercorso dal 1 gennaio 2013 (entrata in vigore della legge del 2012) al 19 novembre 2017 (entrata in vigore della legge n. 161 del 2017) quale sia il termine “di legge” cui possa farsi riferimento per il deposito della domanda di tutela del credito inciso dalla confisca emessa in ambito penale. La questione rileva nel caso in esame, posto che la originaria domanda di tutela è stata depositata nel mese di giugno dell’anno 2015.

Le decisioni della Corte di Cassazione antecedenti alla entrata in vigore della legge del 2017 (v. Sez. I n. n.11889 del 1.2.2017) avevano sostenuto che il regime della decadenza doveva essere ricavato dall’assetto “ordinario” del decreto legislativo n.159 del 2011 (art.58), con individuazione del termine ultimo in quello di un anno dalla definitività del provvedimento di confisca. Tuttavia, dice la Corte, si tratta di una disciplina legislativa che – nelle more – è stata anch’essa variata (proprio con l’intervento di modifica del 2017 in tema di misure di prevenzione). Trattandosi di una variazione in bonam ritiene la Corte che – anche in ragione della complessità e novità della materia e del disorientamento correlato alle stratificazioni normative – al caso in esame, ancora sub iudice, debba essere applicato, almeno in parte, tale ius superveniens. La attuale disciplina del codice antimafia (d.lgs. n.159/2011) prevede che: a) dopo il decreto di primo grado il giudice delegato assegna ai creditori (già censiti dall’amministratore giudiziario) un termine perentorio, non superiore a sessanta giorni, per il deposito delle istanze di accertamento, fissando la data della udienza di verifica (art..57 comma 2). Si tratta di un decreto «notificato agli interessati», il che rende effettiva la conoscenza del procedimento in cui è stata disposta la confisca; b) la domanda va depositata entro il termine assegnato dal giudice (art.58 comma 5). Successivamente, non oltre il termine di un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, le domande relative ad ulteriori crediti sono ammesse solo ove il creditore provi, a pena di inammissibilità della richiesta, di non aver potuto presentare la domanda per causa a lui non imputabile. In buona sostanza, il legislatore del 2017 ha inteso innalzare gli oneri informativi della autorità procedente (in ciò ritenendo fondati i dubbi interpretativi sorti sul precedente regime) ed ha al contempo dettato una disciplina ad hoc per il caso di domande tardive, tesa a renderne possibile l’ammissione in un termine «massimo» individuato nel decorso di un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo.

Da queste considerazioni è possibile, quanto al caso concreto, evidenziare che: a) non può attribuirsi rilievo immediato alla disposizione relativa agli oneri informativi, riguardando una fase del procedimento di merito del tutto esaurita prima della vigenza delle nuove disposizioni; b) va tuttavia individuato come termine “ultimo” della domanda del creditore quello introdotto dal legislatore del 2017 per le cd. domande tardive (un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo) in quanto più favorevole rispetto alla precedente indicazione normativa (un anno dalla definitività del provvedimento di confisca); c) nel particolare caso oggetto del presente ricorso, la domanda dell’originario creditore andrà pertanto – senza altra verifica non essendovi stato formale interpello – ritenuta ammissibile se ed in quanto alla data del deposito era trascorso un tempo inferiore ad un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo.

 

Cass. Pen. sez. I n. 26563 del 31/05/2023 dep. 20/06/2023

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