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Dopo le verifiche, fatte dai Giudici di merito, risultava che l’imputata avesse conseguito il titolo abilitante in Spagna, che era iscritta solo al registro dei praticanti avvocati ma non a quello degli avvocati. Nonostante ciò, i giudici riscontravano la sussistenza di varie attività tipiche della professione legale svolta in Italia.

Abuso di esercizio della professione di Avvocato, questa la condanna per un’imputata che veniva confermata dalla Corte d’Appello di Milano. La donna, sebbene avesse conseguito un titolo abilitante in Spagna, sosteneva però di aver svolto solo attività di consulenza assieme al proprio dominus. Queste le argomentazioni su cui si basava il ricorso in Cassazione.

Il collegio, invece, ricostruendo e ripercorrendo la vicenda, evidenziava l’effettivo incarico di atti tipici riservati ai soli avvocati. In appello sono stati giudicati così, alcuni atti compiuti dalla ricorrente, la quale risultava, all’epoca dei fatti, iscritta al solo registro dei praticanti avvocati, e inoltre evidenziava anche il fatto che non era neppure iscritta nella Sezione speciale dell’Albo, prevista per gli “Avvocati stabiliti”. Quindi: abuso d’esercizio.

Le attività compiute rientravano nella specifica attività professionale dell’avvocato e non erano qualificabili, come affermato dalla ricorrente, in semplice consulenza legale. Infatti, a riprova delle motivazioni del collegio, emergeva un incarico professionale che confermava l’assistenza, la rappresentanza e la difesa nell’ambito della controversia. Tale incarico prevedeva la remunerazione sia per la conciliazione che per l’ipotesi di giudizio.

Inoltre, l’abuso d’esercizio, veniva confermato anche dal conferimento del mandato difensivo in favore della sola ricorrente (e non del dominus) in occasione di una perquisizione fatta allo stesso cliente.

Altri elementi erano poi, la richiesta fatta dalla ricorrente nei confronti del cliente per il saldo delle prestazioni eseguite, che presupponevano, come ribadito nelle valutazioni di merito, in sede di legittimità, che ci sia stato lo svolgimento di attività professionale. Ad appesantire la posizione della ricorrente, vi era anche una mail della stessa inviata al cliente con la quale veniva ribadito che al saldo dell’onorario, avrebbe inviato al cliente il “fascicolo”.

Ma nonostante i fatti, il Collegio doveva rilevare l’intervenuta prescrizione de reato e quindi, venendo a mancare le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, annullava senza rinvio la sentenza impugnata.

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