“L’ordine di demolizione di un immobile abusivo, è bene ricordarlo, oltre ad essere una sanzione punitiva verso chi costruisce abusivamente, risponde soprattutto alla necessità di tutelare il territorio ed il paesaggio ripristinandolo “ante fatto”.
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La Corte d’appello di Catania, si discosta, almeno in parte, dai dettami della giurisprudenza della Corte EDU, oltre che dalla Suprema Corte di Cassazione, in merito all’applicazione della sanzione accessoria dell’ordine di demolizione, nell’interpretazione dell’31, comma 9, d.P.R. n. 380/2001: Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali.
Inoltre, nonostante venga riconosciuta l’importanza del bilanciamento fra diritto alla vita familiare e all’abitazione come sancito dalla Commissione Europea sui Diritti dell’Uomo (Art. 8 “…Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza) nonché dell’interesse pubblico e della tutela del paesaggio e del territorio, sembra non tenere conto del principio di proporzionalità che necessariamente dev’essere associato alla discrezionalità del giudice nella delicata applicazione della sanzione demolitoria.
IL FATTO:
Un imputato viene condannato (in primo grado) alla pena di due mesi di arresto e ammenda di diecimila euro, sebbene venga riconosciuto poi il beneficio della sospensione condizionale (art. 163 c.p.), per aver realizzato un’opera edilizia in assenza di titolo abitativo e in violazione delle disposizioni del T.U. in materia di edilizia. A seguito di dette premesse, disponeva una pena accessoria di demolizione dell’abitazione abusiva.
Tale sentenza veniva impugnata poi, per il mancato riconoscimento “dello stato di necessità come scriminante” così come sancito dall’art. 54 c.p.: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.”
Le motivazioni dell’impugnazione rimarcavano proprio la necessità e l’intenzione dell’imputato di assicurare per sé e per la sua compagna un riparo, motivandolo dalla loro impossibilità di proseguire il pagamento dei canoni di locazione della loro precedente abitazione. Le esigue dimensioni del manufatto e l’assenza di rete idrica ed elettrica erano ulteriori elementi per la corretta comprensione della motivazione dell’imputato che non era quella di violare le normative contestate, ma la necessità di evitare il pericolo di una vita per strada.
Con il secondo motivo di appello il Difensore chiedeva la dichiarazione di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione.
Con il terzo motivo d’appello la difesa chiedeva la dichiarazione di non punibilità dell’imputato per particolare tenuità del fatto “… La particolare tenuità del fatto disciplinata dall’art. 131-bis c.p. è una causa di non punibilità che risponde alla concezione gradualistica del reato e ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità del diritto penale.
La Corte d’appello di Catania dichiara l’infondatezza dell’atto d’impugnazione applicando solo parte dei principi sottesi alla tutela del cittadino destinatario dell’ordine di demolizione.
I limiti scaturenti all’applicazione dello strumento e dell’ordine di demolizione di un edificio abusivo costituisce garanzia del diritto “ad un riparo minimo” così come sancito dall’art. 8 CEDU.
Articolo 8 della Convenzione– Diritto al rispetto della vita privata e familiare “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”
Gli orientamenti sembrano seguire i principi sanciti dalla Corte CEDU e da quelli della Suprema Corte, secondo cui il giudice, nell’applicazione della sanzione accessoria prevista dal T.U. dell’edilizia, dovrà bilanciare sempre l’interesse della collettività e dell’integrità del territorio e del paesaggio con il fondamentale diritto all’abitazione attraverso i criteri di necessarietà e proporzionalità delle sanzioni.
Principio di proporzionalità nell’ordine di demolizione secondo la Corte EDU e la Cassazione
L’ambito applicativo dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo non può prescindere dai necessari “criteri di proporzionalità” (Corte EDU, 21 aprile 2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria; 4 agosto 2020, Kaminskas c. Lituania; 23 marzo 2021).
Infatti, la rimozione di un manufatto illegalmente edificato potrà avvenire solo quando il cittadino non abbia già tentato di esperire i possibili rimedi previsti dalle autorità nazionali per sanare l’abuso edilizio.
Inoltre, è necessario che lo stesso si sia attivato per soddisfare il diritto all’abitazione attraverso gli strumenti di welfare previsti dall’ordinamento interno e che sia comunque pienamente consapevole della violazione di legge al momento dell’edificazione dell’unità abitativa.
La sentenza emessa dalla Corte sembra discostarsi dalla giurisprudenza europea e dalla Suprema Corte, dal momento che esclude la preminenza dell’art. 8 CEDU rispetto all’applicazione dell’ordine di demolizione posto a tutela del bene collettivo del territorio e del paesaggio. Ciò che spicca nelle motivazioni è l’omissione di ogni riferimento ai criteri di proporzionalità e necessità. Dietro la funzione ripristinatoria del territorio e del paesaggio sembra non rimanga alcuno spazio o considerazione per il rispetto della vita privata e familiare e per il domicilio del cittadino indigente.